Strade di poesia, Matera

Strade di poesia, Matera

Commento critico di Luigi Ruggeri

 

Mi è capitato diverse volte di scrivere in merito alla poesia o alla narrativa di Carmela Nastro, scrittrice che di giorno in giorno raccoglie successi fra i lettori, e in questa occasione mi pare doveroso affermare che essa (la poesia) si presenta alla coscienza dei lettori per quello che è uno dei compiti precipui della poesia: carpire tutto il dolore che fa parte dell’uomo, e nel farlo proprio cercare di placarlo e trasfigurarlo nella “suprema calma dell’Arte”, così come sfociano i fiumi, nella celeste vastità del mare. Queste poesie sono un vero e proprio concentrato intellettuale sottoforma di versi poetici ispirati da opere pittoriche in un gioco di corrispondenze e di specchi che si esprime con l’uso di linguaggi diversi, così come scrive, Massimo Nardi, nella Sua prefazione al libro: “La vita è forse un verso”.Tutti i soggetti poeticamente descritti e  artisticamente delineati sono l'espressione di una spontaneità inventiva Ut pictura poësis, come nella pittura così nella poesia”, formulata dal poeta Quinto Orazio Flacco.

Così nelle Sue espressioni poetiche, Carmela ci spiega come Ella preferisca parlare di se offrendo un’immagine del Suo mondo interiore, da poter guardare da lontano, così come avviene per la pittura che impone una riflessione critica, una doppia chiave di lettura del fenomeno, ancora tutto da studiare e approfondire.

Da una osservazione, che cerca di andare più in profondità, per cogliere, nel continuo rifarsi all’opera d’arte, l’esigenza,  di osservare l’immagine artistica, oggetto di visione, per realizzare un intreccio alimentato da un doppio registro: quello storico-narrativo  e quello inventivo, la Nastro si affida “al bambino artista ch’è in ognuno” per riscoprire l’Eden perduto.

Così  la “fanciullina” Nastro, per mutuare la tanto famosa poetica “pascoliana” non soffre di manie di superiorità nei confronti della natura, anzi s’immerge in essa, parla e le sue parole sono quelle incontaminate della gente semplice;  accostando le immagini l’una all’altra, si potrebbe definire la Nastro un poeta di matrice “impressionista”.

Il Suo linguaggio onirico, ovvero gli elementi offerti dalla lingua irrazionale dei sogni per rifugiarsi in un mondo irreale che pur essendo tale, Le offre la certezza di poter intravvedere con gli occhi dell’anima, un mondo autentico e più giusto.

                                                                                                                                           Luigi Ruggeri

 

 

Ulteriori connotazioni della poesia di Carmela Nastro di Luigi Ruggeri

 

Il linguaggio di questa raccolta di poesie di  Carmela Nastro, come quella di Emily Dickinson, poetessa statunitense, è incentrato sull’amore per la natura.

Da una lettura attenta, ci si può rendere conto come la poesia sia un vero e proprio sogno, un’aspirazione che rimanda a ciò che nell’affanno della quotidianità rimane inascoltato, rivolgendosi a quella parte del nostro essere che non si rassegna allo sprezzante cinismo della “realtà”.

Così di manifesta in tutto il suo splendore la poesia di Carmela che non lascia spazio alla distrazione del lettore, perché farlo potrebbe compromettere il senso complessivo del discorso, come se una macchia sfigurasse un quadro raffigurante un paesaggio, un panorama o un ritratto.

Sul piano di un persistente dinamismo poetico che incalza di poesia in poesia, la forma lirica della Nastro, risulta sempre limpida come prodotto insieme di un lavorìo interiore e di un profondo travaglio che le consentono di comporre liriche di un grande valore espressivo, prive di qualsiasi costrizione metrica o tradizionale.

È la poesia infatti che infiltrandosi in ogni più recondito anfratto della Sua anima si tramuta in un fluido che, attraversando le vene, possiede la capacità di germogliare e apportare luce e umanità.

È facile avvertire, leggendo le Sue poesie, come esse siano “un attimo di vita”, tasselli in un mosaico che esprime con i suoi multiformi colori l’efficacia della valenza autobiografica.

La parola “scavata nella vita”, diceva Giuseppe Ungaretti, resta un segno indelebile, e la poesia di Carmela possiede la capacità di raccontare la vita, in tutte le sue sfaccettature, sottolineando e talune volte spiegando lo svolgersi degli avvenimenti e dei fatti la caratterizzano.

Ma perché la Nastro ha così tanta fiducia nella poesia? Perché proprio ad essa si “consegna” per raccontare in versi quello che, forse, non sarebbe mai capaci di dire?

Si affida ad essa, a mio avviso, forse perché tra le tante attività umane, la poesia si avvale di una forma affidata all’espressione più individualistica, derivante dal profondo e diretta al profondo di ogni uomo e proprio per questo riesce ad accomunare tutti, attraverso le vie misteriose dei sentimenti e delle emozioni, unici nella loro unicità, ma costantemente uguali, anche nella lontananza del tempo e dello spazio.

Poiché la poesia, dice la “verità del cuore”, quella verità che si percepisce come autentica e profonda e che solo parole particolari e sapienti sanno rivelare ritrovando l'assoluto nell'immersione nel quotidiano e nel privato, ma anche nella lettura dei “segnali” più discreti dell'”essere”, delle sue “vibrazioni poetiche” impercettibili a chi non ha sensibilità e consonanza, ad essa Carmela  si rivolge con accorato richiamo perché riesca a dar senso al  “dolore” e all’”amore”, che come tutti gli altri sentimenti, sempre turbano e commuovono, fanno vibrare le corde più profonde dell’animo umano e lo impegnano a cercare le parole adeguate per esprimere il “sentire”.

Il lettore capace di fermarsi per un attimo di fronte a questi versi, comprenderebbe con chiarezza  quello che la Nastro è capace di dire grazie ad un cammino fatto di “Vibrazioni poetiche”  comunicando la Sua personale fiducia nella poesia, una poesia che trova nell'esperienza “vitalistica” della natura “ragioni di conforto” all'umano soffrire e di speranza di fronte ai grandi interrogativi dell'esistenza.

Attraverso questo caleidoscopio di emozioni e sensazioni quindi ci vediamo esortati da Carmela  ad osservare con occhio attento e scrupoloso i segni del “tempo” educandoci alla visione dello stesso, a scoprire quanto consideri bella la vita perché la poesia è già lì, nel mondo, nelle cose; bisogna solo saperla cogliere e portarla alla luce.

Il continuo richiamo ad una mescolanza di emozioni che la natura provoca nell’animo di Carmela, pone alla nostra attenzione quanto sia importante per chi  si voglia cimentare nell'ascolto, con pazienza e tenacia, con vigilanza interiore, allontanarsi per qualche attimo dalla luce rutilante dei neon e dal frastuono dei miti quotidiani immergersi nella straordinaria fantasmagoria della natura per giungere alle soglie della propria mente e rientrare poi in quella danza cosmica dalla quale solo la disattenzione e la dispersione quotidiana l'avevano apparentemente esiliato.       

                                                                                                                                   

 

                                                                                                    

Commento al Romanzo Irene di Carmela Nastro

 

Quando ci si accinge a scrivere una recensione di un romanzo più che soffermarsi a spiegare la storia che è facilmente comprensibile da tutti, è necessario, a mio avviso, spiegare i motivi per i quali è bisognerebbe leggerlo. Eccone alcuni.

Questo Romanzo “Irene” di Carmela Nastro può considerarsi un vero e proprio “polittico di emozioni” trasmesse con la sensibilità di chi oppone al disfacimento dei giorni moderni, la testimonianza scritturale della forza dell’amore, che vince ogni ostacolo, che supera ogni barriera, per proclamare la bellezza di questo sentimento tanto proclamato ma a volte poco vissuto.

La scrittura di Carmela Nastro, poetessa già affermata e di ottimo valore, alla sua prima esperienza nel campo della narrativa si presenta con questo Romanzo che variamente è caratterizzato in maniera tangibile da una scrittura idonea ad elevare la parola a “fulcro dell’attenzione”; una parola in sostanza capace di aprire a ciascun lettore il palcoscenico del luogo in cui l’azione si svolge. E questo, ritengo, sia il dono peculiare della scrittura di Carmela Nastro che si estrinseca proprio attraverso, la “parola-luce”.

Una parola che invita attraverso pagine sognanti e magiche, a volte anche dure perché costellate dalla morte, ad addentrarsi assieme a Lei nei luoghi, che sono il vero e proprio scenario del racconto portavoce di sentimenti e quindi bandiera dell’amore.

L’arguzia della Nastro, in questo romanzo, pone anche attenzione alla cosiddetta diversabilità.

Irene, ragazza disabile, che incontra l’amore di Emanuel, scopre, giorno dopo giorno, al di là delle incomprensioni che alla fine del racconto troveranno il giusto epilogo, quanto sia bello amare e sentirsi amata e partecipare alla vita attiva rendendosi conto che spesso gli ostacoli sono un modo non giusto di identificarsi con ciò che non ha, perché la diversità non deve dividere ma accomunare.

Ecco quindi che il sogno d’amore, dopo alterne vicende trionfa per diventare necessità di vita, alito e sogno d’un’intera esistenza e quindi assumere alla fine della storia un rapporto d’amore completo.

Irene, alla fine, libera da qualsiasi preconcetto, affrancata da qualsiasi dubbio lascia che il Suo amore verso Emanuel si realizzi e si espanda per crescere in profonda intimità.

Non so, o meglio, non  sono riuscito a capire quanto di autobiografico ci sia in questo romanzo.

Posso solo dire che l’amore per la scrittura, il desiderio di far conoscere il proprio mondo interiore ai lettori sono aspirazione e dono comune sia di Irene che di Carmela.

Entrambe, infatti, camminano di pari passo, come angeli con un’ala soltanto che possono volare solo restando abbracciati.

I miei personali complimenti quindi a Carmela Nastro per la qualifica tecnica narrativa e la bontà del Suo scrivere dai quali scaturisce un racconto avvincente e meritevole di essere letto.